PSORIASI E MONDO DEL LAVORO, UN CAMMINO IN SALITA?


PSORIASI, UN PROBLEMA PER IL LAVORO?

Il 26% dei pazienti affetti da psoriasi afferma che la propria condizione ha un impatto negativo sulla vita professionale. I numeri salgono al 48% quando si tratta di artrite psoriasica.
Più del 90% dei soggetti psoriasici è costretto ad assentarsi da uno a sette giorni lavorativi all’anno per conseguenze dirette della malattia o per sottoporsi a trattamenti medici e un numero consistente di pazienti rimane a casa dal lavoro per periodi più lunghi. Ciò avviene specialmente quando la patologia è di grado severo.
Questi dati, emersi da una ricerca condotta dalla National Psoriasis Foundation negli Stati Uniti, sono peraltro in linea con i risultati evidenziati da due studi, pubblicati sul British Journal of Dermatology, che hanno analizzato in maniera più ampia le diverse aree inerenti la qualità di vita.
Recentemente anche un’indagine italiana ha documentato le difficoltà incontrate nel mondo del lavoro. Il 40% degli intervistati  ha infatti  dichiarato che la psoriasi ha limitato le proprie aspettative lavorative e di carriera, il 18,5 % ritiene di essere trattato diversamente dai colleghi, il 15,5 % ha dovuto abbandonare o cambiare impiego, con notevoli ricadute sulla possibilità di guadagno, sulla crescita professionale e, ovviamente, sull’autostima.

ESISTONO PROFESSIONI “A RISCHIO”?

“Non esistendo un vero e proprio rapporto di causa-effetto tra psoriasi e rischio professionale gli individui affetti da questa patologia non dovrebbero, in linea teorica, precludersi alcuna strada nella scelta della professione da intraprendere”, spiegano gli esperti.
Ciò, tuttavia, non significa che l’attività lavorativa non possa comportare un aggravamento o un’esacerbazione della psoriasi. Diversi fattori ambientali sono infatti grado di intervenire nel decorso della psoriasi provocandone l’aggravamento o influenzandone in qualche modo l’andamento clinico.
È noto, ad esempio, come qualsiasi evento in grado di generare un trauma cutaneo possa favorire, in un individuo affetto da psoriasi, la comparsa di nuove lesioni o il peggioramento di quelle già presenti.
Quindi, in linea di massima, tutte le attività professionali che comportino l’esposizione continua a traumi (o microtraumi) della pelle dovrebbero essere evitate. Stiamo parlando di lavori che abbiano una decisa componente manuale (in particolare se la psoriasi è localizzata anche agli arti) o che prevedano un’esposizione fisica particolarmente usurante.
Stesso discorso vale per le attività che si svolgano a stretto contatto con agenti chimici o polveri il cui effetto irritante può ovviamente influire negativamente sulla psoriasi.
Anche ambienti di lavoro particolarmente caldi o umidi possono non essere indicati.

DIRE O NON DIRE, QUESTO È IL DILEMMA?

L’impatto emotivo della psoriasi è forte e può investire anche l’ambito lavorativo. Spesso i pazienti raccontano: “I colleghi mi guardano e mi chiedono che cosa sia successo alla mia pelle”. Esistono ancora troppi pregiudizi verso questa malattia.
Il fatto che le lesioni siano visibili può creare disagio, in particolar modo in attività che richiedano un contatto con il pubblico. Gli individui con psoriasi si sentono “osservati” e percepiscono una certa diffidenza nei loro confronti.
In questi casi è consigliabile parlare in modo aperto con il proprio datore di lavoro, con i colleghi, e, se necessario, anche con i “clienti,” spiegando di quale patologia si soffre e tranquillizzando gli interlocutori sul fatto che non si tratta di una malattia contagiosa. A volte gli altri possono stupirici. In positivo.
Se invece la condizione “non è visibile” la scelta di parlarne o meno è strettamente personale e dipende da una serie di variabili che rientrano nella sfera soggettiva.
In ogni caso è bene ricordare che la decisione giusta è “quella che ci fa stare meglio”, che non esiste nulla di cui vergognarsi e che lo stress è il peggior nemico della psoriasi!

By psoriasi360.it

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